
AFTER THE BURIAL
Dal roster Sumerian Records, gli AFTER THE BURIAL rappresentanza della compagine progressive metal dal 2004, da quando si sono formati in Minnesota, a Twin Cities. La band ha visto il decesso del chitarrista Justin Lowe nel 2015 e l’entrata del nuovo bassista Adrian Oropeza nel 2016, accanto al cantante Anthony Notarmaso, al chitarrista Trent Hafdahl e il batterista Dan Carle. Il 19 aprile 2019 gli After The Burial hanno pubblicato il sesto album in studio EVERGREEN, dopo Forging a Future Self del 2007, Rareform del 2008, In Dreams del 2010, This Life Is All We Have EP del 2013, Wolves Within dello stesso anno e Dig Deep del 2016.
AFTER THE BURIAL. EVERGREEN.
Overview
Non a caso il sesto album degli After The Burial si chiama Evergreen. Una formula vincente da sempre quella del progressive metal della band dal Minnesota, che prova ancora di riuscire a dominare la scena con una release tra le migliori dell’anno nel genere. Al centro un groove che fa da traino alla selezione e spinge a pestare pesantemente i piedi. Massiccio e prepotente, Evergreen sfrutta l’elemento magico della formazione: la chitarra, cortesia di Trent Hafdahl. Tra riffing serrato e con accordature basse, il disco sfocia nel metalcore, si cala a fondo del technical e apre scenari sui miracoli di corde numerose del progressive. Assoli fantastici si accodano a melodie livellate a fondo della mattanza ritmica, con istanti di pura deflagrazione di batteria in blast. C’è poco da aggiungere per la linea vocale, Anthony Notarmaso è uno degli jaggernaut più distruttivi di ogni distorsione di questa etichetta.
AFTER THE BURIAL. EVERGREEN.
Track by track review
Behold The Crown fa da apripista al nuovo degli After The Burial e concede un ingresso graduale in arpeggio, prima che subentri l’assoluta chirurgia tecnica per la quale questa formazione si distingue. Behold The Crown è un brano con profondi bassi che creano un effetto boato soprattutto se l’ascolto è effettuato in cuffia, e un groove massiccio completato da blast beats e mestiere da doppio pedale. Apparte le variazioni ritmiche verso l’accelerazione repentina, il tappeto stabilisce i prerequisiti per sbattere la testa e stende la base della solida orecchiabilità dell’intero disco. E il ritornello la supporta pienamente. Al centro si innesta un fantastico assolo con reminescenza orientale, e per tutta l’esecuzione un incalzante giro di chitarra stridente che accelera e frena aggiungendo alla ritmica coinvolgente del brano, che come ha aperto il brano, chiude in circolarità.
Guarda il video ufficiale di After The Burial – Behold The Crown:
Premendo play sul pezzo in coda, Exit, Exist, non c’è che da lasciarsi andare alle percussioni esagitate che entrano senza esitare sul meglio del meglio di batteria in blast, che attacca e non si arresterà. Ai chitarroni roboanti, si associa un giro di chitarra vorticante e ipnotico, tendendo ad essere isolato sopra al resto dello strumentale battente. L’intero arrangiamento è regolato da un caos molto controllato, con apertura centrale su un interludio sospeso e basso distorto in evidenza. Exist, Exist assesta una randellata che non si scorda.
Dal caos alla sublimazione di un lavoro di chitarra non solo impeccabile ma affascinante nel prossimo pezzo: 11/26. La sezione ritmica corre pestando il piede sull’acceleratore, ma la mattanza è avvolta dalla seduzione di guitar riffs e istanti di caratura tecnica da capogiro che lasciano un senso di appagamento totale. Al centro del brano un intermezzo di sospensione melodica in sola chitarra pulita con eco di cantato distante e quel poco di accompagnamento ritmico, spezza l’energia a conduzione del brano, per poi riesplodere sulla potenza che traina l’arrangiamento. La seconda parte ospita un lungo assolo che si protrae per quasi due minuti fino alla sfumatura finale.
Passare al disturbo è un attimo e ci pensa In Flux, che incede con riffing dissonante e procede con un giro di chitarra oscuro che emerge di tanto in tanto. La dissonanza si evolve in frenesia di elettriche e sul riffing down tuned perfettamente aderente a quello di basso. Martellante e battente, il pezzo si spacca letteralmente sui breakdown. La linea vocale qui mette in vetrina una serie di distorsioni vocali in registro abrasivo, passando dal prevalente mid growl a versioni di fry screaming caustico, con tanto di gang chants. Il pezzo dura quattro minuti o poco più e accoglie una coda misteriosa di altri due minuti di solo atmosferico nebulizzato con arpeggio riverberato che contribuisce a rendere il pezzo favolosamente bello dove il progressive e il technical metal sono in fusione liquida.
Prepararsi a pestare i piedi come dannati e sbattere la testa con Respire, un brano ad altissimo groove. Un decisivo metalcore stomp si miscela a una serie di melodie livellate e un ritornello ricantabile su cui si distende un sublime lavoro di chitarra solista. Non è difficile capire quanto il groove sia un perno di questo nuovo disco degli After The Burial.
Quicksand è un brano differente che aggiunge alla selezione una variazione verso il flemmatico tedioso. Attacca con un arpeggio interamente a fondo del versante oscuro delle cose. Lento e riverberato si evolve su un giro di chitarra altrettanto cadenzato. Quicksand si snoda a passi trascinati e pesanti, e accoglie anche uno squisito low range growl, tanto abissale da calarsi a fondo dell’oscurità nel modo più impercettibile.
The Great Repeat si addentra anch’essa sul perimetro del metalcore e aggiunge una gloriosa solista sopra al martellamento di blast beats e serrato riffing. Bello e intrigante al punto giusto, il pezzo miscela al metalcore chug la melodia diluendo una dose di orecchiabilità sul catchy chorus e non solo. La responsabile dell’armonia degli istanti strumentali è interamente da ricondursi alla solista.
To Challenge Existence alla penultima posizione, sfrutta a pieno i giri più brevi e fulminanti che si possano produrre in palm muting proprio in apertura. Un senso drammatico e inquietante a ridosso del riff principale crea intrattenimento su una struttura di base del tutto sussultoria.
Gli After The Burial chiudono in bellezza e interamente sul lato dell’heaviness. A Pulse Exchanged sbuffa e corre sul doppio pedale e su una ritmica dannata e prepotente. Rovente quanto le harsh vocals che la regolano, il primo piano qui è tutto dedicato al batterista. Occhio al mastodontico breakdown che insieme all’energia affrettata del brano, spintonerà senza pietà sul circle pit dal vivo. E attenzione alla polverizzazione dal minuto 3,32 dove il technical fa ridere a un Dan Carle completamente fuori controllo, impeccabile controllo aggiungo.
Il nuovo degli After The Burial è un album memorabile nel genere e che si guadagna il podio dei migliori album progressive metal del 2019.
Rating: 10/10
Brani suggeriti: Behold the Crown, Exit Exist, 11/26, In Flux, Respire, The Great Repeat
After The Burial – Evergreen tracklist:
1. Behold the Crown
2. Exit, Exist
3. 11/26
4. In Flux
5. Respire
6. Quicksand
7. The Great Repeat
8. To Challenge Existence
9. A Pulse Exchanged
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