
PAPA ROACH WHO DO YOU TRUST? EU TOUR
Live @ Estragon, Bologna (BO)
18 giugno 2019
Un live report di Alessandra Gordon e photo report di Paola Giacchino
Dopo aver varcato la soglia di più di 25 anni di musica, i leggendari PAPA ROACH hanno anche raggiunto la milestone del decimo album che è arrivato il 18 gennaio 2019 tramite Eleven Seven Music: WHO DO YOU TRUST?. Un album che ha spaccato a metà la critica e la fan base di una delle band più leggendarie della California per l’adozione di una sperimentazione assoluta e per la varietà di generi miscelati sul versante rock arena, rap metal, contaminazione elettronica e quant’altro.
All photo credits go to Paola Giacchino. Right to use permitted by courtesy of ©Paola Giacchino photographer.
Come molti altri scommetto, sono rimasta affezionata a quel signature sound di album memorabili come Infest del 2000 (con scarafaggio in copertina, ve lo ricordate?) e di tutti quei brani come Last Resort, Between Angels and Insects che hanno segnato il mio periodo liceale, ma ho anche scoperto una nuova versione di Papa Roach reloaded. E dal vivo soprattutto, in occasione di una data parte del WHO DO YOU TRUST? EU TOUR che ha graziato il Bel Paese il 18 giugno 2019 con tappa all’Estragon di Bologna, prevista inizialmente per il BOtanique festival poi spostata.
Con questa recensione vorrei farvi rivivere il concerto attraverso tutti quei piccoli dettagli che lo hanno reso unico, attraverso tutte le interazioni di Jacoby Shaddix con la folla, il continuo dispendio di “fuc*ing” e “grazie” in italiano e i brani più memorabili di una setlist che avete adorato cantandola praticamente per intero.
PAPA ROACH.
Set the roof on fire.
L’ambiente è stato riscaldato dai ROS, talentuosa formazione punk-rock toscana che si è fatta largo sul panorama italiano a partire dalla partecipazione a X-Factor 11 e Sanremo Giovani finché è scoccata l’ora e alle 21.30 la band di Jacoby Shaddix ha preso possesso del palco dell’Estragon.
Che dire di questo frontman, sembra che non sia passato un anno da quando faceva sussultare gli animi di infinite masse di adolescenti. Allora coi capelli neri, oggi foderato di tatuaggi, con la sua cresta bionda e un flair tipicamente californiano. Senza troppi discorsi introduttori e parole superflue, i Papa Roach attaccano dalla title track del nuovo album Who Do You Trust? sul cui tappeto ritmico altamente orecchiabile, l’headbanging della folla è praticamente istantaneo mentre lui, Jacoby, se ne sale sopra la piattaforma frontale con le sue converse bianche e camicetta stampata propagando sin da subito energia nucleare e facendo impazzire il pubblico.
Se l’unico dubbio sorto in seguito al nuovo album dotato di altissima post-produzione era proprio quello della resa dal vivo, è stato sfatato. Perché la proiezione vocale è ottima e la resa strumentale è attraversata dagli stessi elementi anche dal vivo, e in verità un album del genere sembra essere più adatto che mai alla sessione live per via della potenza e dell’alta catchiness dei brani più forti, che ovviamente, verranno visitati tutti durante la serata.
Arriva subito Dead Cell su cui Jacoby fa cenni al pubblico chiedendo il ricantato, cosa che ottiene senza battere ciglio e, già grondante si sudore, afferra una bottiglietta e spruzza acqua sull’audience in adorazione.
Con una profondità eccezionale di bassi e sing along non solo sui versi ma anche sul ritornello in partenza al millesimo di secondo dopo l’attacco, il brano Help, riconoscibilissimo e molto apprezzato da quest’altra parte del palco. Sul pezzo il cantante retrocede e lascia il primo piano al chitarrista solista, che durante l’intero set dispenserà sorrisi a non finire. Quando più composto o quando più scatenato, si guadagnerà il suo protagonismo e si mostrerà costantemente compiaciuto del ricantato del pubblico muovendo le labbra insieme a chi gli ha permesso serate come queste, noi. In chiusura Jacoby ringrazia, e lo fa proprio in italiano innescando un istante di meraviglia a luci spente mentre tutti sono aizzati a chiamare il nome della band.
Avete mai visto un headbanging con le corna? Eccolo. Si tratta di Getting Away With Murder dall’omonimo album del 2004 su cui il padrone comanda, e noi eseguiamo: corna al cielo. I brani della setlist sono stati miscelati con una certa genialità, per assecondare gli amanti del sound storico dei Papa Roach e quelli che si sono approcciati con piacere all’evoluzione più recente. Quindi in coda una delle stand-out tracks del nuovo lavoro, introdotta dal pathos di luci esclusivamente bianche nel buio e un Jacoby che, al massimo dell’autostima, si sente molto figo. È Renegade Music e rende vera la formula “pull the trigger”, perché innesca un headbanging aderente tra bassista, chitarrista, cantante e pubblico in una massa unica di corpi e teste sbattute all’unisono.
“You’re feeling alright up there?” Dice Jacoby “ Every fuc*ing ass needs to sweat. Welcome to the motherfu*ker family”. Sì, perché dopo due decadi e mezzo di musica e un centinaio di evoluzioni più e meno drastiche, i Papa Roach si sentono veramente una famiglia con i propri fan. E questo fa molto piacere a chi come noi, si trova ad apprezzare questo momento. È la volta di un brano storico sulle vecchie sonorità dei Papa Roach, della famiglia appunto, dove le mani in waving a tempo di musica è un’onda energetica in espansione inarrestabile. Eccola lì, Between Angels and Insects, dove il microfono è girato da questa parte e l’adorazione incontenibile viene poi appagata da un bel: “Thank you so much for singing”. Ma non solo, perché Jacoby fa il segno del cuore con le dita e più avanti farà anche quello delle corna sulla testa. Grande trepidazione, mentre il giro di chitarra circolare del brano resta in evidenza da solo a luci spente.
Se a un brano nuovo segue uno vecchio e viceversa, i Papa Roach mollano niente di meno che Elevate dove sulla ritmica accattivante insita nella natura del brano, la necessità incontenibile è soltanto una: saltare.
“Are you feeling the s*it? Cause I’m feeling YOU.” Gran quantità e dispendio di fuc*ing all’americana nelle interazioni col pubblico, come avrete notato. Ed è qui che il cantante si auto dichiara sudato come un maiale e a venire strizzerà una camicia intrisa di fluidi corporei e asciugherà la piattaforma frontale con un tattico asciugamanetto pronto all’uso. Nonetheless, scatenato, salta senza sosta su Not The Only One al ritmo dei “sing it” che chiede..accontentato.
Un interludio atmosferico è quello che ci vuole quando il tetto prende letteralmente fuoco e così gli animi di una folla sognante di fronte a una band tanto stratosferica. Con una percussione incalzante in entrata, viene introdotto molto sportivamente il chitarrista solista e dopo il quadretto delle presentazioni arriva Traumatic su cui il coinvolgimento del pubblico è praticamente scontato.
L’alta interazione con i fan attinge spesso proprio dalle richieste dello stesso cantante, ottima cosa per categorizzare un concerto come memorabile. Per Forever ci viene chiesto di abbassarci e di fare silenzio mentre il brano subisce un crescendo prima di esplodere sul breakdown. Un iconico istante vede un Jacoby Shaddix in ginocchio dietro alla piattaforma dove picchietta la testa mentre entra il pezzo e se lo cantano in adorazione sentimentale quasi tutti prima di prendersi un suo bacio volante.
Numeri come il successivo, Scars, si meritano un’introduzione degna delle relatable lyrics. Lo abbiamo già capito che lo stanno per suonare perché ci dice: “Quando le cose diventano dure è in quel momento che bisogna lottare. Questa canzone è per coloro che devono necessariamente credere in se stessi quando le cose non vanno per il verso giusto. E così vale per noi. Siamo ancora qui a fare rock ‘n roll e a connetterci ancora con le persone.” La verità è che non fa in tempo ad attaccare,che tutti stanno cantando con lui, su tutto il brano con o senza microfono girato verso la folla.
La prossima è estratta dall’album F.E.A.R. ed è anche una delle preferite dei Papa Roach stessi, Falling Apart. Dice: “This is one of our favorites. Whatever. We’re gonna stick with fame”. Sul brano ho notato che, stranamente, finora il chitarrista solista ha cambiato la chitarra in sola sequenza bianca – nera – bianca. Dove sono le cento chitarre dei mille colori che sfoggiano tutti i chitarristi mainstream? Apprezzabile sobrietà.
Arrivano gli ultimi due brani prima dell’encore: Feel Like Home e …To Be Loved. Momento catartico quello che introduce la prima delle due. Ecco le parole che lo hanno introdotto: “You fuc*ing love Papa Roach, don’t you? I wanna fuc*ing see you go crazy. From the front to the back, from one side to the other. Let’s see what you’re made of.” Pestare i piedi come dannati a questo punto è obbligo, e scatenarsi su …To Be Loved curiosamente introdotto in versione dal vivo dal un iconico “Hey Ho! Let’s Go” invidia di Ramones e calato genialmente su un brano esplosivo per natura.
La cosa fondamentale è che i Papa Roach non hanno MAI abbassato l’asticella della potenza della serata, e mollano tre pezzi atomici in encore, giusto per chiudere e ricordarvi di che pasta sono fatti. E avranno anche cambiato sonorità, ma non hanno smesso di spaccare.
Arriva la tripletta finale con la bomba a mano che mi sono cantata a squarciagola dall’inizio alla fine in ultima fase tachicardica e cardiopalmo: Last Resort. “You’re fuc*ing insane!” ebbene sì ce lo siamo meritato. Segue più di un minuto di caos da urla, applausi e un Jacoby Shaddix visibilmente emozionato battersi il pugno sinistro sul cuore. Alcuni ragazzi alzano sulla sinistra un cartello che ispira la dedica ai Linkin Park e al riff che parte proprio in reminiscenza di In The End. Il discorso evolve dunque sulla scomparsa di Chester Bennington, Chris Cornell e Keith Flint. Non a caso, perché il prossimo brano viene iniettato da una luce rossa e fuoco, fuoco a profusione sul pubblico: Firestarter, cover dei The Prodigy a tutti chitarroni e una resa galvanizzante dal vivo.
“If we don’t know pain, we don’t know love, we don’t know connection. If we don’t know pain, we don’t know life cause life is fucking pain sometimes. For some people pain is too much. So let’s make some noise for those people in order to fight”. Con una presentazione del genere, l’ultimo missile sganciato è proprio il brano iconico del nuovo album che spinge e credere in sé stessi e lottare, perché tutti noi siamo nati per il successo e così sia: Born For Greatness. Gliel’avevo letta negli occhi la voglia di scendere dal palco, ed è quello che Jacoby farà su questo pezzo finale e si canterà la sua chiusura insieme alla folla nel delirio totale.
Un concerto tra i più emozionanti dell’anno, che ha ricordato momenti della nostra baldoria adolescenziale e innescato momenti indescrivibili di emozione di fronte allo spettacolo messo in scena da una band che ha avuto il coraggio di evolversi e cambiare e farlo nel modo più orgoglioso possibile. Non scriverò io una conclusione a questa recensione. Lo faranno le parole di chi vi ha regalato una serata indimenticabile sopra al palco:
“Bologna thank you. We love you. We are a family and we are Papa Roach.”
PAPA ROACH WHO DO YOU TRUST? EU TOUR Live @ Estragon, Bologna setlist completa:
Who Do You Trust?
Dead Cell
Help
Getting Away With Murder
Renegade Music
Between Angels and Insects
Elevate
Not the Only One
Traumatic
Forever
Scars
Falling Apart
Feel Like Home
…To Be Loved
Encore:
Last Resort
Firestarter (The Prodigy cover)
Born For Greatness
SICK AND SOUND ringrazia sentitamente KINDA Agency per la collaborazione e aver reso possibile la nostra presenza alla tappa italiana dei PAPA ROACH parte del WHO DO YOU TRUST? EU TOUR all’Estragon di Bologna il 18 giugno 2019. Un ringraziamento particolare alla nostra collaboratrice e fotografa ufficiale Paola Giacchino per aver contributo con photo report a questa recensione.
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